
-Capitolo II-
“Era un pomeriggio freddo, uno dei tanti pomeriggi piovosi, umidi e freddi di fine dicembre a Parigi. E ricordo bene anche la data, era il 21 dicembre dell’anno 2013 che volgeva oramai al termine. Studiavo biologia a Parigi, mancavano ancora diversi esami prima di conseguire la tanto agognata License. Non avevo altro di meglio da fare quel pomeriggio e uscire per la capitale, anche con il freddo, non mi fermava anzi mi appassionava come sempre, conoscere luoghi, posti, tradizioni e soprattutto era il pretesto per conoscere nuove persone, le donne. Avevo ascoltato dai miei colleghi universitari di storie, fatti e misfatti delle donne parigine. Le osservavo ovunque andassi ed effettivamente rimasi folgorato dal loro portamento, era come osservare la raffinatezza che camminava. Mi incantavano, anche senza parlare. Portatrici sane di una femminilità magnetica, composta, semplice ma superba. Quel pomeriggio decisi di andare al Musee d’Orsay, era il pomeriggio adatto per il Museo, tempo soltanto da dedicare a me, alla mia Anima. Ero diretto verso gli “impressionisti” e Monet era il prescelto. Dopo visite al piano terra e a quello ammezzato, mi recai al piano sopraelevato e con tanto di guida alla mano, cominciai, quadro dopo quadro, dipinto dopo dipinto, ad immergermi nelle Anime degli impressionisti più acclamati. Vagavo da un mondo all’altro, da un paesaggio all’altro, da un umore all’altro. Era un vero e proprio sentiero che si apriva nell’Anima, varcava i confini del cuore, delle emozioni, lasciandomi trasognare ad occhi aperti, immedesimarmi nelle loro ricerche estenuanti delle sensazioni, emozioni, che volevano trasmettere. Nella sala 34 giunsi dopo un lungo soffermarmi tra dipinti ed emozioni che si aprivano come si apre il cielo, dopo giorni e giorni di pioggia, finalmente al sole. Entrai e rimasi folgorato, c’era davanti ai miei occhi Claude Monet, Tempête, côtes de Belle-Ileen 1886 huile sur toile. Ma non era il quadro a lasciarmi a bocca aperta. Davanti al quadro, una Donna. Silenziosa, avvolta in un vestito di raso, Rosso come il Fuoco, due piccoli orecchini Rossi, sembravano vivi e contenere sangue rubino. Era lì, immobile, testa china appena accennata sul lato sinistro e incantata, immobile, a guardare il dipinto, la Tempesta di Monet. Sembrava, a prima vista, una porcellana di Sevres, delicata bella, molto preziosa. Occhi con dentro il Mare, cristallini, puliti, luccicanti come il raso del suo vestito rosso, e se avesse avuto in quegli attimi la Tempesta dentro, non lo avrei mai potuto sapere guardandola soltanto in quell’istante. Io ero molto di più che in una semplice Tempesta, ero oramai completamente stato catapultato e affondato nel baratro dei suoi occhi, nella sua tempesta interiore, e Monet non sarebbe stato capace di tanta fervida immaginazione a dipingere un volto di Donna, quella Donna che era lì accanto a me. Io oramai ero impressionato da tanta languida, silente, docile bellezza. Ero estasiato, ero…ero accanto ad una Donna la cui beltà era di gran lunga superiore a tutti i dipinti messi insieme presenti nel Museo, stipati tutti lì in quella vecchia stazione dismessa, appunto d’Orsay. Lei mi guardò, incuriosita, io avevo gli occhi oramai incollati sulle sue labbra, carnose, turgide, succose, due fragole, due piccole more, due esili morbidi tappeti di carne che sentivo uccidermi, strapparmi l’Anima soltanto a guardarle. Mi ripresi e le chiesi se avesse il mare in Tempesta. Sorrise e mi disse di Si. E poi aggiunse: -“Anche Lei, ha il mare in tempesta, Monsieur ? ” – Non sapendo cosa rispondere, perchè avevo la bocca asciutta, le labbra serrate, la lingua secca, mi rivolsi come uno stupido universitario quale mi sentivo e mi presentai così: – “mi chiamo Giuseppe, e Lei ? è francese, è parigina? ” -. Lei sorrise e sussurrò avvicinandosi all’orecchio: – “No, non sono parigina e mi chiamo Charlotte”-. Era un pomeriggio d’inverno, quel 21 dicembre del 2013, e mai come quell’anno sentii, dopo qualche giorno, quando ci ritrovammo seduti ad un caffè e poi a far l’amore nella mia umile stanza, che l’inverno non era tanto freddo come lo era stato gli ultimi anni.”
Giuseppe La Mura 28 lug 2016
testo: copyright legge 22 Aprile 1941 n°633
photo: Web
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